domenica 29 marzo 2020

LO STESSO RESPIRO

Viviamo tutti una nuova realtà, ma chi soffre vorrebbe cancellarli questi giorni. Chi è triste lo sa che il freddo non è più solo una stagione, ti congela dentro, spegne il fiato, spegne tutto. C'è tanta tristezza in questi giorni. Aleggiano assenze e dolore, le mancanze s'ammantano di grandi verità, e non sono sirene di festa o di gioia, adesso il canto è spezzato e le sirene  suonano a lutto. 

Chi è solo vorrebbe cancellarli questi giorni. La solitudine è un colloquio continuo, lacera dentro, e un colloquio muto non ha mai molte parole d'amore. I respiri sì, sono parole d'amore. Un inno alla luce, un soffio di vita, un legame, un poema in un verso, un fiato sul vetro, un sospiro, un bacio, un'anima in volo, un  gesto.

Torneranno i respiri del mondo. I baci alla stazione, le luci dei lampioni, le preghiere degli anziani, i giochi dei bambini. Torneranno i respiri e sarà come un tempo. Un respiro non ha confini. Dall'America all'Africa il mondo è tutto un grande fiato, un grande respiro.

Adesso invece, ogni respiro fa rumore. Fa rumore la paura, il dramma, il futuro incerto, il dolore, fa rumore il respiro più corto, la solitudine enorme, l'impotenza dei medici, del progresso, di tutti noi, dei governi, dei potenti, fanno paura i giorni svaniti, i respiri spezzati, i riti mancati, scomparire.

I confini che non esistono. Fanno paura i limiti che non ci sono se non proteggono, gli spazi in comune, le zone non circoscritte. L'Africa è troppo grande e troppo sola. La gente è inerme, indifesa, mi fanno paura quei respiri che non saranno più, gli stati più deboli, la vita, il caso, il posto che ti capita, quello che puoi fare, o che non puoi. Le zone rosse oggi sono nel cuore e nella mente, e le grandi vanità della vita lasciano un vuoto ancora più grande. 

Lo stesso respiro è il respiro del mondo. Di fronte alla vita, al tempo, all'amore. Un grande respiro, un unico battito, sotto un cielo che non lo sa, e va avanti lo stesso. 









martedì 24 marzo 2020

LA VITA IN GABBIA

Ci deve pur insegnare qualcosa questo momento. Ci dirá che tutto può cambiare in un secondo, che di certo quando finirà non sarà più come prima, i segni restano, e se per molti sono solo segni, per altri sono vuoti, lutti, mancanze.

Credo che si possa imparare qualcosa da tutto questo. Forse piangerò per le strade che non portano ai giorni di un tempo, per la folla frettolosa che non ho saputo guardare se non con gli occhi dell'abitudine, per il vicino silenzioso e anziano alla finestra, lontano e a suo modo indispensabile, come lo sono tutte le cose che si rivelano tali solo dopo che passano, che lasciano un vuoto, che non ci sono più. 

Andrò per le strade cercando i colori, direbbe Pavese. 
Io andrò per le strade cercando i segni delle ferite perchè possano dirmi che il peggio è passato, perchè possano insegnarmi che ci sono uomini grandi, coraggiosi, capaci di grandi gesti, e che per ogni lacrima ci possa essere un momento di pace, una verità, i nostri eroi, grandi nella loro umanità.

Andrò nelle strade cercando i segni della rinascita, del conforto, del miracolo, del dolore che merita rispetto, che non deve essere dimenticato. Andrò nelle strade cercando le gabbie di un tempo, 
quelle finte di una spensieratezza artefatta, e dire che lo abbiamo capito adesso, che le vere gabbie erano dentro di noi, e per il capriccio della quotidiana normalità, non lo abbiamo compreso.

Andrò per le strade guardando i fiorai, i baristi, i corrieri, i postini, i parrucchieri, i pasticceri, i commercianti, i negozianti, i venditori, i panettieri, i tanti locali dove ogni giorno è un pullulare di vita. Guarderò gli anziani al sole seduti su una panchina, e i bambini con i loro zaini e cartelle,  guarderò le finestre aperte con i profumi della cucina, di luce, di sole, di vita.

Ci deve pur insegnare qualcosa, questo momento. Ci deve insegnare che abbiamo vissuto una crisi gravissima, abbiamo sentito testimonianze tristissime, abbiamo visto una fila di mezzi militari per cui non ci sono parole se non costernazione, dolore. 

I libri di storia ci hanno insegnato che le pestilenze hanno distrutto imperi, decimato popolazioni, che la guerra sottrae la libertà, disumanizza, abitua alla paura, alla distruzione, al dolore, insegna ad amare. Noi che non abbiamo conosciuto la Guerra, ci siamo sentiti immuni, protetti dalla società del benessere, dalla normalità. 

Quello che ci insegna questo periodo è che la vita è troppo grande e troppo fragile, che quello che conta è dentro di noi, altrimenti non potremmo mai guardare gli altri con gli stessi occhi con cui guardiamo noi stessi. Ci insegna che la vita è dove c'è un po' di bene, che il cuore è in tanti posti, ma mai in una gabbia. 


domenica 22 marzo 2020

LA VITA ASINTOMATICA

La vita asintomatica. Che non presenta sintomi. La vita sul divano, alla finestra, dietro un vetro, la vita dentro di noi, la vita per le strade vuote, i negozi chiusi, le vetrine vuote, le saracinesche abbassate. 

Il vuoto fa male. Un giorno vuoto. Uno sguardo vuoto. Un quaderno vuoto, un panino sottovuoto, un paese vuoto isolato. Fa male quello che è stato, che non è più. Il vuoto fa più male, per il suo contrasto con il pieno. 

Una casa abbandonata. Il senso di una appartenza, di un racconto mediato, per litote, per negazione. I paesi abbandonati hanno sempre quel qualcosa di inespresso che tuttavia sa raccontare, sono come i casolari di campagna, con la loro ombra di dimenticanza, e a me che sono malinconica, lasciano sempre un'ombra di poesia, un' ombra sul cuore.  

La vita asintomatica è la vita sognata sui cartelli di una destinazione. È la fermata della metropolitana. È la strada, dopo la stazione. È la vita di chi non sa, e all'improvviso comprende, sente, capisce. Non si capisce mai troppo presto. Tutte le grandi verità arrivano all'improvviso. 

La gente muore. Non si può dire altro. Il vuoto è troppo grande. Il vuoto è uno strappo dell'anima. Il vuoto è un grido del cuore.

La vita asintomatica è uno schermo del televisore, il senso doloroso di una perdita, un unico grande dolore. La vita asintomatica ci insegna l'amore per la vita, mentre ci ammaliamo tutti, nel vedere il nostro mondo svanire. 


sabato 21 marzo 2020

COSA SIGNIFICA VIVERE

L'incanto, l'incanto era un'altra cosa. 
Era la sicurezza perduta, la spensieratezza, 
il senso della normalità, il sentirsi forti, il sentirsi al riparo. Per chi non aveva conosciuto direttamente la guerra, il racconto di quello che era stato era quasi surreale. 

L'incanto era essere fortunati. Essere fortunati. Lo capisci dopo cosa significa. Lo capisci con i problemi di sempre, che, certo possono sembrare enormi, ma che non lo sono mai quanto il senso della precarietà incombente, la realtà che si fa più vicina, e l'aria è come un pericolo imminente, e l'incanto scompare e resta la paura. 

E l'incanto era la nostra quotidianità. Abbiamo scoperto la vita vera grazie alla vita virtuale, abbiamo apprezzato quella virtuale perchè non ci fa sentire soli, o forse lo siamo tuttora, chi più, chi meno, ma almeno abbiamo compreso quello che incanto non era, e gli abbiamo dato un nome, un pianto, un pensiero di nostalgia, un arrivederci, un dolore. 

E l'incanto erano i giorni che abbiamo perso all'improvviso, i respiri sul vetro, le scritte sulla metro, 
e gli annunci dei treni alla stazione. Erano i ritmi misurati, programmati, controllati della nostra sociietà i passi dei pendolari, i semafori rossi, la fine della lezione, il suono della campanella alla ricreazione. 

Erano i binari che portavano chissà dove, sempre nuovi e sempre gli stessi, che cullavano le vite anonime verso le mete prodigiose della solita abitudine, e che scomparivano nel vetro di un bicchiere colorato nei bar della sera, dove l'incanto era saper essere giovani, saper essere di compagnia, saper essere vivi. 

Era l'incanto una poesia senza nome, vissuta tra i giovani e i vecchi di ogni paese, ognuno con la propria storia, la propria poesia. Non ci sono foto in bianco e nero a raccontare quello che è stato, ma numeri, canti, pianti, cifre e bilanci, che poi quello che accade è ancora una volta la storia, che diventa passato. 

Era l'incanto un giorno di luce, di silenzio, di casa, di speranza, di salute, di sole. L'incanto era ed è, dentro di noi, e se prima lo avevamo dimenticato, adesso lo abbiamo imparato davvero, cosa significa vivere.

venerdì 20 marzo 2020

DIARIO LAMENTOSO

E così questi sono giorni di stanchezza, preoccupazioni, paure, tensioni nascoste. Stress da computer, da didattica online, da didattica a distanza, da vita a distanza, dal cuore spezzato, dal cuore a metà, dai giorni di ieri che sembrano così lontani, dai posti vuoti, dalle zone rosse, dalle zone sospese, dalle zone in stand-by, come i ricordi, i progetti, i programmi. 

E così questi sono giorni di ripensamenti, di definizioni dell'io, di quanto avuto, di quanto perso, di quanto non apprezzato, di quanto di incompreso, dimenticato. Sono i giorni del "vuolsi così colà come si puote" e che poi non sono per tutti, dei grandi ritorni e delle grandi verità, delle parole di Dante o meglio di Manzoni, di Boccaccio, e mai il Decamerone fu così compreso e conosciuto, forse perchè "lingua mortal non dice" ciò che proviamo tutti, chi più chi meno, in questi giorni.  

D'altronde non tutto si può esprimere a parole. Siamo fatti di carne, parole, pensieri e lacrime, direi. Siamo fatti per i consigli, quando li ascoltiamo, quando non li ascoltiamo, è allora che lo siamo di più.  Ben lo sapeva Petrarca, quando diceva“che l’animo sia preparato alle avversità anche nella prosperità e come da una vedetta guardi lontano con vigile pensiero non solo a ciò che è, ma a ciò che può essere per non essere sconvolto da un inopinato cambiamento” (Res Seniles, XIV). Ma spesso, i consigli saggi li dimentichiamo, come le "morte stagioni" e la nutella, e poi succede che all'improvviso ci svegliamo, che la vita ci svegli, che riprenda il suo senso e il suo stile (e la sua verità). 

E così questi sono giorni di risvegli, lettere d'amore e preghiere. Sono giorni di consapevolezze, di passi a ritroso, di sospiri a metà tra la nostalgia e la ricerca di senso. Sono i giorni delle formule magiche da scrivere  quando vorremmo che la vita fosse in ogni caso più forte di tutto. 

giovedì 19 marzo 2020

MARZO ARRIVA

Marzo arriva. Marzo arriva come sempre, il sole, il caldo, i fiori, l'aria di primavera alla finestra.Marzo arriva come sempre. Il cielo è più limpido, tutto è in rinascita, tutto ricomincia. 

Oggi marzo è un silenzio spesso. È un vuoto forse un po' più grande, un tassello in più nella collezione delle tante verità, della vita che va per conto suo, e non è mai come la immaginiamo, o come la vorremmo. 

Marzo oggi è una parola dolorosa. È tutto molto doloroso. Il vento che non porta via il sapore di un brutto sogno, forse di un risveglio, chissà, il sole che riscalda tutto quello che gli abbracci non possono più fare. E così all'improvviso, si cresce. Si cresce a poco a poco, o forse tutto in un secondo, si cresce e si invecchia, mentre marzo non sa nulla, e continua a spargere intorno il suo profumo. 

Marzo oggi si taglia con un coltello. È una copre spessa di sconforto, sgomento, preoccupazione, paura. Marzo è tutte le parole che non si possono dire. Abbiamo perso gli sguardi liberi, dobbiamo proteggerci dai respiri, dai gesti, respiriamo una vita che amiamo come non mai.  Marzo è un nemico invisibile. 

Per la verità non è marzo. Un nemico invisibile è diventata la nostra vita sospesa, la nostra vita una volta piena di certezze, di normalità. 
Quello che è chiaro è che da certe verità non si guarisce.  E noi, che non avevamo mai visto la guerra, l'avevamo studiata sui libri di scuola, percepita come altro, alterità, perchè troppo lontana da noi, adesso ci troviamo con i militari in casa, e gli ospedali come tanti campi di battaglia. 

Cosa racconteremo, di quelle aule vuote, fredde, lontane. Cosa potrà farci meno male, di quelle storie che ci raccontano il dolore, la solitudine, la fragilità di un attimo, tutta la vita di un respiro, e che sono immagini di ogni giorno...la malinconia diventa più spessa del silenzio, e il cuore non si spezza, soffre, sorride, si attacca alla vita. 

È tutto troppo doloroso, e allo stesso tempo troppo vero. Marzo continua, va avanti come può, come sa, come deve. Chi lo avrebbe mai detto, che avevamo tutto, e non lo sapevamo.




sabato 14 marzo 2020

IN VIDEO SIAMO TUTTI PIÙ BRUTTI

Ripensiamoci per quello che siamo, tutto può cambiare in un minuto, la nostra ricchezza è dentro di noi, non ci serve poi molto, siamo qui, ed è già una dichiarazione d' amore. 

Ripensiamo al valore del giorno, del sole, delle stelle, di un bacio, di un abbraccio, di uno sguardo, di una parola, di un sorriso, una telefonata o di un nome. 

Ripensiamo che dalla precarietà può nascere la bellezza. In questi giorni scrivo, studio, correggo compiti, leggo, scrivo, studio, rispondo alle mail, invio mail, messaggi, ricerche, lavoro. 
È ovunque la filosofia smart working, per me è un modo abituale, anche se mi mancano molto gli sguardi, i confronti diretti. 

Le cose bisogna sempre chiamarle con il loro nome. 
Diventerò una luddista, forse, è troppa questa tecnologia per me che ho bisogno di sentire il rumore del mare, se non fosse che tutta questa tecnologia oggi ci permette di rimanere in contatto, ci fa sentire aggiornati, ci fa sentire vicini (ma in video siamo tutti più brutti).
Farò gli onori ai tecnici, agli informatici agli ingegneri, ma sono sempre i pensieri a vincere le distanze, e questi non si fermano mai. 

A volte mi viene da piangere, poi penso a chi sta peggio di me, e cerco di darmi da fare. Penso sempre al valore delle cose, a quello che eravamo, a quello che è cambiato, a quello che ritornerà, a quello che ci farà sentire più forti, più veri, più realistici. Ognuno ha il suo modo, c'è chi fa flash mob alla finestra e canta per il vicino, chi disegna arcobaleni, chi scrive poesie e guarda foto in bianco e nero, il tempo di una canzone, e il ritornello ha il sapore un po' sfocato delle cose che sbiadiscono e rubano il cuore. 
Ed è così che lo capisci, dalla fragilità può nascere l'amore. 



venerdì 13 marzo 2020

STORIE

Conoscere il segreto delle storie, per comprendere la società. Si chiama storytelling, che è come dire, in maniera più semplice, dare un nome alle cose, chiamarle per quello che sono, definire un tabù linguistico, pronunciarlo, scrivere, lasciare che ti faccia male, che renda giustizia, chiarezza, o verità.

Siamo fatti di tante storie.Quante storie dietro una finestra, quante nelle case dei vicini, quante negli occhi di ognuno, nei post che leggo quotidianamente, nelle testimonianze di ognuno, o nelle piazze vuote, che ci dicono che qualcosa è cambiato, non lo sapevamo, ci credevamo immuni, e invece è successo. 

Quante narrazioni raccontano vite sospese a metà tra il sogno e la poesia, tra il certo e il probabile, tra quello che è stato, e quello che non è più. La narrazione mia di questi giorni è la malinconia, a tratti lo stupore, la stanchezza, lo sconvolgimento, ci sono verità che fanno male, ma forse è solo così che si cresce. 

Ci sono sono pagine che tornano in soccorso. In questi giorni mi sento come la liceale di un tempo, 
a suon di versioni fortunatamente Diogene Larzio mi ha insegnato l'autarcheia del saggio chiuso nella sua torre d'avorio (umilmente non mi paragono a Diogene, 
certo meglio del Conte Ugolino,  
o forse preferirei la chioma di Rapunzel del resto), ma se scrivo, leggo, studio o preparo le lezioni per i miei alunni, sono serena, sono fortunata, non mi manca nulla. 

Quello che mi manca davvero è la certezza di un tempo. Mi manca la normalità, mi manca il telegiornale che parla di problemi consueti, che non mi fa vedere letti di ospedale, e gente in lacrime. Mi mancano 
i fiori di marzo, che nonostante tutto sbocciano e non sanno quello che stiamo vivendo. 

La natura ha il suo modo per raccontare la vita. È una narrazione limpida nella sua verità, concreta nelle sue regole, attenta ai suoi ritmi, in linea con il respiro del mondo. Dall'altro lato c'è la poesia di chi vive, di chi soffre, si rialza, ce la fa, vede il mondo cambiare, vede la realtà trasformarsi. C'è la poesia dell'umano, che ci fa essere vicini più che mai, anche se lontani.  


mercoledì 4 marzo 2020

IL BENESSERE NON È ONNIPOTENZA

Ho imparato come si tossisce in un gomito, cosa significa uno starnuto, cosa può essere un virus. 
Ho capito che la vita può cambiare in un attimo, e che il titolo del premio Nobel Grazia Deledda, Canne al Vento, è una grande verità. Ho capito cosa significa essere più fragili di un granello di sabbia, e quanto avessero ragione i filosofi del tempo andato, Parmenide, Eraclito, nel dire che tutto scorre, che l'essere è fin tanto che esiste, che i bisogni primari non sono come i bisogni non necessari. 

C'è un confine per tutto, e quando stringi il filo, capisci che contano solo quelle poche cose importanti, l'affetto, l'amore, la salute, la vita. Da un lato c'è la vita, dall'altro ci sono la precarietà, la paura, la fragilità, il senso delle cose, l'esistenza. Ho capito Omero quando cantava che siamo come le foglie, e ho capito Archiloco quando interrogando il suo cuore, aveva come risposta "riconosci la misura che governa il mondo". Ho capito Mimnermo, Orazio, Catullo, Leopardi, Tasso, il Poliziano quando parlavano del dolore e dell'invito a godere del giorno. Ho compreso che il benessere alla fine non è onnipotenza, che l'uomo è uomo sempre, in qualunque epoca o momento. Ho capito che la precarietà fa paura, ma la fragilità è una costante di sempre. E la fragilità insegna cos'è l'amore.