venerdì 24 febbraio 2017

ANGOLI DI STRADA

Gli angoli delle strade catturano cose bellissime.
Sono i posti che percorri distratto, con noncuranza, nella fretta silenziosa che s'immagina sempre una meta, e non hanno segni nè parvenze.
Sono i posti che passi e vai, sempre nuovi e sempre diversi. I posti che sono sempre gli stessi, dove il cambiamento è nell'aria, dove l'abitudine impreziosisce l'ovvio con il diverso, e dove la staticitá è esigenza interiore di un immutato eterno familiare.
Sono i posti in cui il tempo che passa lascia la sua impronta nella corsa interminabile della gente che va, avanti ed indietro, all'angolo di una strada come tante.
E ne vedono di cose gli angoli delle strade, ne conoscono di verità, quelle che ci portiamo dentro davanti all'insegna di un negozio o nel riflesso di una vetrina, quelle che teniamo chiuse in borsa e che accompagniamo sottobraccio, quelle che raccontiamo camminando al telefono, mentre il mondo va avanti con i suoi pensieri scolpiti in testa tra nuvole e battiti di cuore.
Ne vedono di cose gli angoli di strada, con quella discrezione mista a noncuranza, con quel fare dimentico che sa di certezza, con quel riserbo gentile che dá sicurezza,
e sono scenari e spettatori di altrui realtá, sfondi silenziosi su cui la vita proietta se stessa, ombre veloci che camminano, che passano e vanno via.
Penso che non ci sia posto migliore per capire l'uomo e la sua storia, se non quello di fermarsi all'angolo di una strada, e guardare.
Nelle grandi cittá come nei paesi più piccoli, lo scenario sará sempre lo stesso.
Una folla di persone senza nome che va verso la propria vita, unite per una frazione di secondo dal caso o dal destino, che si passano accanto per una volta e che forse non si incontreranno mai più, ferme alla stazione del tram, al semaforo, o a rincorrere chissá cosa.
Una galleria di tipi umani sempre nuova e sempre diversa, sotto i panni stesi ad asciugare al sole, dove le donne anziane siedono davanti alle case e le pietre sono troppo logore di tedio e di tempo, nelle strade percorse a ritroso, lentamente, nelle strade ormai vuote e dimenticate dai più.
E gli angoli delle strade lo sanno,
sanno quello che è stato e non e più,
sanno l'odore del sugo e del camino che ardeva e che era, sanno i giochi dei bambini e i muri imbrattati di gesso, sanno i rintocchi della campana e le donne con il velo alla messa del vespro.
Sanno tanto, perchè vedono tanto.
Vedono i semafori illuminati e le insegne dei palazzi di fronte, le macchine che passano e frenano e vanno, i clacson a marcare i confini, e i vetri a catturare istantanee, nei giochi di luce che subito sfilano via.
Vedono i tipi che passano davanti e giá li riconoscono.
Li riconoscono con la pioggia, con il sole d'estate, nell'imbrunire di primavera che ha il sapore del meriggio d'autunno.
Semplicemente.
Lì c'è l'uomo d'affari con la valigetta e il cappello, il passo fermo e lo sguardo austero, lì c'è una donna, dal sorriso dolce e gli occhi pieni di sogni, lì c'è un vecchietto, con il giornale e il bastone, cammina piano a cercare il sapore dei raggi del sole.
Lì dove solo i giramondo e gli artisti di strada hanno la propria casa, tra case e palazzi e viali e semafori e negozi, ci sono pezzi di vite che passano e vanno. Istantanee fugaci, volte a cambiar corso o a ripercorrere infinite volte quello stesso percorso fino a perdersi nella folla, dove i senzatetto hanno occhi e orecchie per pensare, e gli angoli della strada hanno odori e silenzi per capire...


E intanto guardo questo amore
Che si fa piú vicino al cielo
Come se dopo tanto amore
Bastasse ancora il cielo

 E sono qui

E mi meraviglia
Tanto da mordermi le braccia,
Ma no, son proprio io
Lo specchio ha la mia faccia
(I. Fossati)

martedì 21 febbraio 2017

RICORDI

E mi trovo lì davanti a te, e resto lì,
con le mani vuote e il cuore che sembra esplodere.
Ti parlerei, ma cosa dire poi?
Io che non ho niente
accarezzo le mie mani se tu me le sfiori,
e non m'importa
le infinitá del tempo
non sono nulla
e forse sono ridicola,
e forse faccio sorridere
Le parole non mi bastano
vivo di istanti
e piccole intensitá...

"...e l'amore guardò il tempo e rise"

sabato 11 febbraio 2017

FEBBRAIO


Febbraio sei arrivato così,
tra un fiocco di neve e un raggio di sole, un fiocco da scaldare tra le mani,
e un sole da catturare stretto,
come tutte le cose belle,
che se stringi forte
forse non vanno mai via.
Sei un mese corto e pieno di allegria,
perchè il grigiore d'inverno lo metti un po' via,
nei mille colori che soffi per l'aria,
tra un anticipo di primavera ed una promessa,
nelle mani dei bambini
che lanciano al vento felicitá.
Le maschere sono il tuo panno
e il tuo fervore,
e i coriandoli la pioggia d'allegria e fantasia
che vorrei sempre con me,
che vorrei tutto l'anno,
per soffiare
colore e felicitá,
un po' di cioccolato
per dire "ti penso",
e dolce amore
per dire
"m'incanto"
nei cuori sempre più veloci,
rossi di poesia e infinita magia.
Sei il mese delle canzoni e della tv, 
in questi giorni di violette e semplicitá
in queste tinte che spengono il grigio
e in questi costumi che vestono giorni.
Sei il mese delle maschere,
il più corto dell'anno.
Sei il mese dell'amore
il più rosso di sempre.
Sei il mese dei sogni
e dei desideri,
delle burle e filastrocche,
delle lettere d'amore scritte
e mai consegnate,
raccontate alla luna e
giurate per sempre,
e sussurrate lontano.
Sei un mese un po'speciale,
pieno di sorrisi, giochi e follia.
I bambini ti fanno compagnia,
e sono fate e sono eroi,
e sono principi e son principesse,
e sono ghirlande, e sono festoni.
Le maschere quelle vere,
le incontri per strada,
scelte dalla vita, o imposte dal caso.
Sono quelle che non parlano
il linguaggio delle fiabe,
che non sanno l'alfabeto della magia,
che non hanno incanto, nè incantesimo. Sono quelle che hanno il cuore in gabbia
e i sogni nel cassetto,
con i pensieri chiusi in tasca,
e i passi dietro
a cercare le orme
perse dietro di sè.
Sono quelle che a febbraio
indossano la fantasia
e scendono in piazza,
con il peso di una maschera
che conoscono solo loro,
portatrici di sogni e di realtá
e di coriandoli
soffiati nel vento.

giovedì 9 febbraio 2017

SUL BULLISMO. MONOLOGO

Eccomi, sono qui.
Se mi guardi non mi vedi, se mi vedi non mi consideri. Se mi vedi non esisto, eppure sono quello lì, quello messo in un angolo, quello che ha troppa paura di valere qualcosa, di avere qualcosa da dire, in questo mondo dove il più forte vince sempre, e se picchi bene sei un duro, e se ridi e offendi sei il migliore, il migliore da seguire, da ammirare,
e sei grande, il più figo, il più forte di tutti.
Tu, tu che colpisci e mi butti in faccia il tuo potere, tu che mi guardi ma senza vedere, che mi sfiori ma senza capire.
Tu che non senti il mio dolore e il mio tormento, che non capisci quello che provo o non puoi e forse ne vai fiero,
tu che mi passi dentro con i tuoi occhi e mi umilii, e ridi forte, ridi tanto, ridi male, e non sai il carico di emozioni che porto con me, quello che sono e chi ero,
non sai di cosa sono fatte le mie lacrime  e i miei sogni impressi e nascosti sulla pelle,
i miei sorrisi strozzati,
le mie notti insonni,
i miei giorni solitari
in un grigiore d'indifferenza che non ha mai fine.
Non sai le partite di calcetto come le tue, a sentire il sudore sulla pelle e il brivido di un'emozione respirata nell'aria,
non sai le corse in motorino e i pomeriggi tra compiti e noia,
i videogiochi sul divano, come te, ed i gol urlati forte e sempre di piú, la chitarra lasciata in camera e gli spartiti vuoti a metá.
Non sai, non sai chi sono, non sai nulla, non mi conosci e non ti interessa, e tutto è solo un grande vuoto e un grande errore,
è tutto è solo un grande silenzio e un grande dolore.
Il mio silenzio come il tuo rumore, 
il tuo silenzio che non mi lascia mai, che diventa il mio rumore, pensiero fisso, silenzio assordante,
a contare gli attimi lunghi che sembra non passino mai.
Eppure io ti vedo.
Mentre mi fai quello che vuoi io ti vedo. Ti vedo e non ti capisco.
Non capisco il perchè di tutto questo,
ed è solo un grande silenzio,
un silenzio mio, impossibile,
troppo grande a parlarne, ed uno tuo,
impenetrabile, indicibile come sono le cose che si chiudono dentro, e non escono più.
Siamo così vicini, senza capirci veramente.
Neghi il mio mondo, i miei sogni, la mia esistenza, le mie speranze, e forse quello che ho creduto per me in un mondo che speravo per me, e neghi te stesso, perchè alla fine io lo so che non sei veramente tu quello che mi ritrovo davanti con gli occhi vuoti e senza nome.
Non sei davvero tu, perchè a soffrire ci vuole passione, perchè non sei nato per questo, perchè non sei nato così.
Forse se smettessi di dare forma a questo vuoto le cose sarebbero diverse. Forse se spezzassi il silenzio dell'inalienabile indifferenza tutto tornerebbe normale.
Se cancellassi il "non detto", il tutto lecito, il tutto facile, il tutto permesso, capiresti che la vita é un dono che -tu le dai - e rende ogni giorno qualcosa
di più. Capiresti la bellezza dell'armonica presenza, del rispetto per te stesso e per gli altri,
la pienezza dell'umana comprensione verso tutto ciò che è sentimento e passione.
Capiresti che i cuori sono tutti uguali,
e che la vita si costruisce giorno per giorno, e che la solitudine non esiste,
se si ha il coraggio di aprirsi e chiedere aiuto.
Capiresti che la forza più grande è nell'esser se stessi, e che vivere è un impegno continuo, bellissimo, che richiede coraggio e emozione, per chi non ha paura di cambiare e di vivere.
E forse anche io capirei.
Capirei di valere qualcosa, come tutti, capirei che subire non è giusto, e di dovere a me stesso qualcosa di più, di non essere solo quello che vedi tu, ma di essere molto di più.
Imparerei a crescere così, perchè a volte si diventa grandi in un giorno, in un attimo o solo un istante, 
e pure cercherei di apprezzare la vita, e darle valore, di amare me stesso e tutte le cose che mi passano attorno e che vorrei, anche se non sono per me.
Lascerei indietro tutto quello che è stato, accetterei la realtá e mi guarderei per davvero, e mi perdonerei. Ti perdonerei, felice di essere io quello forte davvero, felice di avere tutto quello che conta per me, dentro di me.

giovedì 2 febbraio 2017

DELITTO E CASTIGO


Ho scelto il titolo di uno dei libri più belli della letteratura mondiale per una riflessione su uno degli ultimi fatti di cronaca che mi ha toccato profondamente, avvenuto qui, nella vicina Vasto, ma che è un po' storia di tutti (grazie ai mass media ed alla telecamere che ci rimandano le immagini di una tragedia finita nel peggiore dei modi) e "problema" di ognuno, se così si può definire un avvenimento che esula dalla ordinaria normalità, e dal quotidiano.
Delitto e castigo. Delitto per l'uccisione quest'estate di una giovane donna in un incidente stradale, e delitto per l'uccisione del responsabile di quell'incidente, per mano del marito della donna, dopo mesi e mesi di logorio psicologico per una giustizia, a suo modo di vedere, lenta, troppo lontana dal dolore e dalla realtá dei fatti in una burocrazia senza fine.
Con questa mia breve non mi sento di giudicare nessuno, nè tantomeno credo sia possibile giudicare all'esterno di una situazione non vissuta da protagonista, perchè ogni realtá ha la propria dimensione nel dolore e nella sofferenza di chi la prova, e il dramma non appartiene mai a nessuno fin quando questo non ci tocca da vicino.
E allora arriviamo all'altra parte del titolo "castigo".  Castigo che non è solo la pena giuridica di una giustizia terrena, castigo che non è solo, per chi crede, la giustizia divina che si fa dichiarazione di errore e consapevolezza, pentimento e redenzione.
Castigo è tutto quello che c'è dietro e che ti porti dentro e che ti cambia, che ti sconvolge e non ti dá pace, per la perdita irreversibile di una persona cara, e l'inaccettabile veritá di aver ucciso un uomo, un uomo che magari non meritava un dolore così grande, e che forse aveva sbagliato, ma che era pur sempre un uomo, e l'omicidio non è una soluzione. 
Penso alla "povera gente" di Dostoevskij. A quel sentimento della precarietà, a quel realismo sentimentale che è "il vigore e il diritto di un sentimento immiserito dalla realtá ma "conservante -come direbbe Grossman- [...] il suo significato di elevato valore di vita".
A quella che è nella tragedia storia di uomini e di dolore, di fatalitá, di amore, di errore e di morte, di un sentimento sofferto della realtá, sfociato sì nel dramma, che ci rende tutti "povera gente".