mercoledì 23 novembre 2016

UN PAESE CI VUOLE

"Un paese ci vuole, non fosse anche per il gusto di andarsene via", scriveva Cesare Pavese. Un paese ci vuole; non fosse anche per il gusto di avere l'esempio, sentire il momento, e prenderlo...Sentire la lentezza delle cose, sentire il tempo o la noia, le imperfezioni e le piccolezze, che poi forse tanto piccole non sono.
Un paese ci vuole sì, per andare e per tornare. Per respirare il bianco e il nero, e poi ad un tratto svoltato l'angolo trovare i colori. Fermarsi dentro un raggio di sole, e sentirne il chiarore sulla pelle, la lentezza delle piccole cose, che continuano e non fanno rumore.
Ci vuole, sì, un paese, per perdersi e ritrovarsi, per vedere la tranquillitá della quotidianitá, nella cantilena lenta che accompagna le strade e i passi sulla pelle, lì dove tutto attorno è tepore, ed ovunque un racconto che parla a metá.
E i paesi parlano, a modo loro. Hanno quell'incanto delle cose vissute e perdute, delle cose latenti che languiscono in un lento abbandono, che imprimono un profumo indelebile come di semplice ingenuitá, nei panni stesi ad asciugare al sole che sanno di calma e pazienza. E un sentimento ha giá l'odore del sapone di marsiglia, e un'emozione è quella del ragù sotto casa, e la senti nelle strade, la respiri per caso, lì dove i vecchietti fanno a gara ad ingannare la sorte, lì su una panchina assorti a rubacchiare la luce e ad allontanare la notte. E li trovi lì, con i loro racconti nutriti di chissá cosa, nei loro dialetti lontani e ti vien da sorridere, perchè intanto il mondo va ma lì ce n'è uno tutto loro, un mondo di colori ormai pallidi, fatto d'insegne sbiadite e rumori perduti. Rumori di bicchieri e gettoni, di bar di paese con il marchio lunik e di mokambo, di bar dove bevi solo il caffè, e di barbieri davanti la porta, e giradischi, e schiume e lamette.
E non è solo un'immagine della fantasia o della mente, perchè il tizio con la lambretta che passa c'è e ti fischietta lo stesso, magari ti strombetta pure con un galateo tutto suo, e tu ti lusinghi e ti vergogni, arrossisci e guardi avanti, e pure sbirci alla fine e trovi i colori. Sbirci dentro un mondo al vinile, fatto di ronzii di campagna e sapore di Vermouth, di brillantine oleose e donne e grembiuli e biscotti, e ti senti bene, perchè quella purezza l'hai sempre cercata, perchè quella lentezza è pienezza di sè, è la vita che ascolta e che vede, è la vita che va e non sa, all'infuori di quello che è. Mi piacciono i paesi persi nei colori d'autunno, quando gli attraversi e oltrepassi e ti trovi tra greggi, quando guidi e ti becchi le buche e fai a pezzi la frizione, quando vedi campi e pastori, e attrezzi agricoli che non si allontanano mai. 
E il bello è che in questo sapore d'antico e di lento finire, in questo scenario di disincantata purezza, in questo pezzo di mondo strappato al futuro, dopo curve, alberi, campi, fossi e frane, lì dopo le colline e le strade, e questa quiete dimenticata per caso, lì a un certo punto ... c'è il mare.

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