giovedì 3 novembre 2016

CHE IL DESERTO CONSOLA

La basilica di San Benedetto, l'ermo colle di Leopardi, Roma e la sua Conciliazione.
Ogni evento (che sia tragico o drammatico, positivo, naturale o causale) ha come simbolo un'immagine precisa, un'immagine sulla quale ricadono "emblematicamente" gli aspetti più evidenti di tale contingente e che pertanto assurge ad ipostasi di una determinata situazione.
 Il bacio simbolo della fine della Seconda Guerra Mondiale, la bambina che corre nuda per la Guerra del Vietnam, la bambola per terra per l'attentato di Nizza di quest'estate, e si potrebbe continuare. Ogni "fatto" (in senso storico) è caratterizzato da tante realtá, ed ogni simbolo non è che l'emblema di una situazione più complessa.
 L'Italia del terremoto è l'Italia ferita nella sua identitá, umana, storica, culturale.
Viene da piangere a pensare a quanto della nostra identitá si sta sbriciolando sotto i nostri occhi. Un'intera basilica (tra l'altro fondata da un monaco che con la sua regola è stato un modello di rinascita religiosa e civile) con il suo odore di incenso e di arti dette preghiere, un colle che dagli occhi avidi di un poeta è diventato per tutti noi qualcosa di più, "l'immenso" che ci ha fatto sognare; per non parlare di paesi che non esistono più, di geografie cambiate per sempre, di strade vicoletti e negozi morti sotto la polvere, e vite da ricostruire private di un proprio baricentro ontologico di riferimento.
Sentire tremare la terra sotto i piedi fa paura, è destabilizzante, angosciante, ti toglie certezze e stabilitá, ti ricorda nel modo peggiore la nostra fragilitá.
Penso a quelle persone che hanno perso tutto, che devono ricominciare, che affrontano situazioni difficili e che stanno soffrendo con una dignitá ed una forza umana senza pari.
 Penso alla "ginestra" di Leopardi ed a quella natura indifferente al bene dell'uomo, lontana e a volte matrigna, che "non s'avvede di quello che fa", come si diceva un tempo ad un Islandese. Penso a quel fiore che di fronte alle "magnifiche sorti e progressive / dell'umanitá" è capace di abbassare la testa con dignitá, tuttavia mantenendo la sua fragilitá con vera grandezza.
A quel fiore che è come questa gente, a quel profumo che manda, che nobilita una terra ferita, soltanto per la tenacia e la semplicitá con cui resiste, e vi resta attaccato.

Questi campi cosparsi
Di ceneri infeconde, e ricoperti
Dell'impietrata lava,
Che sotto i passi al peregrin risona;
Dove s'annida e si contorce al sole
La serpe, e dove al noto
Cavernoso covil torna il coniglio;
Fur liete ville e colti,
E biondeggiàr di spiche, e risonaro
Di muggito d'armenti;
Fur giardini e palagi,
Agli ozi de' potenti
Gradito ospizio; e fur città famose
Che coi torrenti suoi l'altero monte
Dall'ignea bocca fulminando oppresse
Con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
Una ruina involve,
Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
I danni altrui commiserando, al cielo
Di dolcissimo odor mandi un profumo,
Che il deserto consola.
                                       (La Ginestra, I)

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