domenica 30 giugno 2019

IL MIO FRANCO ARMINIO




C'è nelle poesie di Franco Arminio un rapporto con il sacro che la società moderna sembra aver dimenticato. 
Un sacro umano, che vive nella dimensione della realtà quotidiana, all'insegna di quelle piccole cose "che richiedono la pura generosità dell'attenzione". 

La poesia di Franco Arminio è semplice e autentica, semplice perchè parla all'uomo di ogni giorno con una lingua colloquiale che non usa "le parole d'amore" dei poeti della tradizione, ma che "trema per amore"; una lingua autentica, perchè Arminio parla all'io più profondo, parla all'uomo che ama la vita, che teme la morte, parla ad ognuno di noi di fronte allo scorrere inesorabile del tempo, di fronte alle piccole cose di ogni giorno, alla loro perdita, al senso doloroso dell'assenza, della scoperta.

Come il rapporto con il proprio paese, che è come un nuovo ritorno. Arminio scrive e tira fuori l'anima antica dei paesi dell'Appennino, evoca la ferita che li accompagna e che assomiglia ad ogni nuova finestra chiusa, ad ogni passo della muta realtà dei paesi dell'Italia meridionale, in cui le strade hanno il sapore doloroso dell'abbandono e della dimenticanza. Si definisce paesologo Franco Arminio, ed è nel paese che la sua identità e cifra stilistica trovano la loro forte autenticità e carica valoriale: 


Prendi un angolo del tuo paese
e fallo sacro,
vai a fargli visita prima di partire
e quando torni.
Stai molto di più all’aria aperta.
Ascolta un anziano, lascia che parli della sua vita.
Leggi poesie ad alta voce.
Esprimi ammirazione per qualcuno.
Esci all’alba ogni tanto.
Passa un po’ di tempo vicino a un animale,
prova a sentire il mondo
con gli occhi di una mosca,
con le zampe di un cane.


C'è in questi versi il senso di una dimensione vera, pura, semplice, autentica della condizione umana, una condizione privilegiata, seppur oggi sempre più ancorata alla solitudine, 
all' incomunicabilità, all'abbandono, allo scorrere del tempo che dimentica quelle realtà piccole e dimenticate: 


«Certi paesi diventano come quei bar / in cui campeggiano, in polverose bacheche di vetro, / vecchie merendine: i clienti se ne vanno altrove / e il barista non rinnova la merce».


La poesia di Franco Arminio nasce nella piazza del paese, di fronte al bar, nei pressi del cimitero, nel campetto di calcetto che si trova lì vicino, per le strade silenziose, lì dove il poeta dialoga con gli assenti, dove la politica è troppo lontana e spesso restano solo gli anziani come custodi silenziosi di un tempo lontano. 
È una poesia che dà voce ai morti, che racconta una dimensione invisibile che dal singolo sa farsi nuova comunità, una comunità per chi sa vedere o chi sa ascoltare, o forse una comunità della poesia, di quella poesia che è come "un chiodo di pane, non scalfisce nulla, si sbriciola tra le mani", ma che pure, insieme all'amore, è l'unica cosa che conta, l'unica cosa che resta. 




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