martedì 5 marzo 2019

PER SEMPRE DYLAN MCKAY

Erano gli anni 90, gli anni di tutta una generazione, gli anni delle sigle in tv, dei mondiali alla finestra, delle canzoni su musicassetta e su nastri lp.
Erano gli anni della giovinezza e della felicità, perchè era facile essere giovani negli anni della felicità, quando la leggerezza aveva confini ben precisi, e i tempi erano scanditi dai rintocchi analogici di qualcosa di magico, come qualcosa di inatteso e sempre nuovo, e tutto quello era già eccezionalità. 
Erano gli anni del mito, ancor prima che il mito iniziasse. Lo cantavano gli 883, lo cantavano gli italiani del mondiale, lo cantavano le ragazze di Non è la rai, lo cantavano perfino i bambini di Bim bum bam, era un'Italia che si stringeva nel sogno e ovunque si riconosceva, l'Italia di Senna e delle fotografie, l'Italia dei Giochi senza frontiere e delle edicole e paninerie.  
Non lo sapevamo, allora, che di lì a qualche anno il mondo avrebbe cominciato ad andare velocissimo. Nel tempo di un attimo, avremmo perso i confini, avremmo dimenticato i contorni, avremmo annullato le distanze.
Di lì a poco, per la verità, il mondo non sarebbe più neanche stato lo stesso.
Ce lo avrebbe ricordato una data, un giorno di più, ogni compleanno in cui avremmo lasciato e messo via senza accorgercene una pagina di diario, una partita di pallone, una corsa per strada.
Saremmo diventati grandi senza saperlo, senza volerlo, senza capirlo, travolti da un mondo senza confini e senza pubblicità, senza nastri da riavvolgere con la penna e con le repliche e spotify ad appena un dito nella tasca.
Ecco perchè ieri, quando abbiamo saputo della morte dell'attore Luke Perry, il Dylan di Beverly Hills, abbiamo pianto.
Perchè con lui se ne va un pezzetto della nostra storia, se ne vanno gli anni '90, i primi batticuori, le prime illusioni, gli album di figurine che erano il nostro instagram di allora, se ne va l'attesa di una seconda puntata, la convinzione che il mondo potesse essere per sempre. 
Con Dylan se ne va una generazione che non voleva apparire ma si proponeva di essere, che cercava se stessa nel mito dell'amicizia, dell'amore, della famiglia, della vita, della felicità o della sua attesa, della sua conquista.
Se ne va il mito del cinema, che non è riuscito a rendere eterni gli uomini ma solo la loro immagine, che non è riuscito a fermare il tempo ma solo ad assolutizzarlo o velocizzarlo,
e per il resto c'è il cuore che forse va lento, ma conserva tutto.

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