venerdì 8 giugno 2018

ESTATE

Era l'estate dei Muse di quelle che non lo sai che un raggio di sole può durare una vita. Era l'estate dei primi di giugno, un'estate timida, di quelle che la dolcezza te la porti dentro, e tutto racchiude come una piccola poesia. Era l'estate delle cose che iniziano, o forse no, delle cose che restano, e dire che tutto ha il nome di quotidianità. É quotidianità il volo delle lucciole, il sonnecchiante stridolio delle cicale, il tepore delle sere, il calore dei tramonti che arrivano, incendiano l'aria e poi subito vanno via. È quotidianità il respiro di un sospiro, il senso di ogni giorno, il perché delle cose e del tempo, che passa e non sa quello che prende, che lascia, o che porta con sé. Me stessa, no, non é quotidianità. O forse sì, e non lo capisco, nel fluire del tempo e dei giorni. Nelle cose che passano e che restano, in quelle che mancano e vanno via. In quelle che arrivano all'improvviso e poi svaniscono,  in quelle che restano, e sono come le stelle del cielo, tante piccole luci, cui mi piace alzare lo sguardo, e sono conforto e sono presenza. Tu no, mai, non sei solo una stella. E l'ho capito in questa me stessa che non vuole e deve diventare grande per forza. In questa me stessa che segna ancora le pagine dei libri, che cerca ancora l'odore del mare, che disegna cuori e sogna poesie.
In questa me stessa che non impara mai che la vita é troppo grande per le cose che non cambiano e che pure ci resta attaccata, perchè esisti e allora resti per sempre. L'ho chiesto a me stessa di non lasciare il cuore nelle cose. Di non lasciare un gesto, né uno sguardo né una carezza che non sia una parte di me, una parte di lacrime, di sospiri, sogni, nuovi giorni, ma una istantanea di formalità, un pezzetto di vita fugace in questo istante di tempo. Ma non posso farlo, non sarei io, io che guardo il cielo, le stelle, e in tutto questo cielo ci sei tu.

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