lunedì 3 luglio 2017

CIAO FANTOZZI

Da bambina, Fantozzi mi metteva tanta tristezza. Allora non sapevo se quella ritratta nella figura del ragioniere Ugo fosse miseria o grandezza, miseria di fronte alla realtà della vita, o grandezza, per quell'umanità capace di rimanere nonostante tutto se stessa, senza soccombere di fronte alla realtà delle cose, abbassare la testa sotto una nuvola di pioggia e poi di nuovo rialzarla, in una piccolezza che grandeggia nella sua umana dimensione.
I media ci hanno abituato ad una realtà per tanti aspetti spietata. Perché catturano un' immagine e questa diventa ipostasi di un qualcosa di certo, di statico, di immutabile, cosí come il nastro della pellicola che una volta giunto al termine, puó ripartire daccapo. La realtà é un'altra cosa. E questa arriva prima o poi, in quelle immagini che rendono una verità diversa, che va oltre la telecamera e il copione di un film, ed ogni volta per quella che é, dietro i riflettori e i clichè che sono dopotutto una bella finzione di eternità.
E cosí ci troviamo ancora una volta a crescere un po' di piú, con i beniamini di un tempo che sono ancora e che non sono piú, a sentirci forse un po' piú soli, piú tristi, piú grandi, piú maturi, piú saggi, piú vecchi,
consapevoli che le immagini in bianco e nero lasciano il posto a quelle a colori, ma che i colori non sbiadiranno mai per le cose che si sono amate e si amano e per chi ha voglia di ricordarle.

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