mercoledì 3 luglio 2019

FRANCO ARMINIO, CRONACHE DI UNA SERATA

La poesia e la coralità, i canti della tradizione locale, i versi tradotti in dialetto, il sentimento e la riflessione. 
Si definisce "paesologo" Franco Arminio, poeta e scrittore, autore di raccolte fortunate come Resteranno i canti (Bompiani, 2014) e Cedi la strada agli alberi (Chiarelettere, 2017), protagonista domenica 30 giugno del Reading di poesie del Centro culturale Aldo Moro di San Salvo. 

Un viaggio nel tempo e nella geografia dei paesi d'Italia, con la storia dell'emigrazione e delle piccole realtà quotidiane delle nostre regioni, un viaggio nella poesia, nella vita e perche no, nella morte,  perchè "se oggi muore anche la morte, davvero non abbiamo più nulla". Non interessano le grandi realtà ad Arminio, ma le piccole storie di ogni giorno e di ogni luogo, "quelle che richiedono la pura generosità dell'attenzione". 

Le verità di ogni giorno, le piccole realtà quotidiane, le passeggiate nei dintorni, il piacere di fare compagnia ai luoghi, di avere cura e dare attenzione agli alberi, agli anziani, alle poiane, perfino ad una foglia che cade. L'invito è a osservare, prima che le cose cambino, o finiscano, ma una osservazione viva, attiva, propositiva, un guardare con amore, senza denigrare, senza bloccare i sogni propri e quelli altrui come il "sobillatore del bar", che parla male di tutto ed è il primo a volere il male dei paesi.

Per Arminio parlare con un anziano "è un progetto di sviluppo locale", avere spazio per la gioia significa non trascurarla, "perchè non è da vivi camminare per strada  senza la passione del guardare". E così c'è spazio per i sogni di ognuno, "perchè i sogni non prendono spazio ma lo danno", e per la riflessione, quella attorno ad una tavola natalizia e attorno ad un campo di calcio, per una passeggiata con i morti: 
"Al mio paese, accanto al cimitero, / c’è il vecchio campo di calcio. / Oggi mentre camminavo ho pensato / che potevo prendere un morto alla volta / e fargli fare un giro di campo. / Ho cominciato con mia madre: le piaceva stare al sole, mi ha chiesto / di avere un coltello / per raccogliere un poco di verdura".

Intervallata dai canti popolari della tradizione abruzzese, che Arminio non ha esitato ad affidare alle voci del pubblico presente in sala, la coralità della poesia ha ripercorso le parole di un tempo, per farsi ricordo negli oggetti dismessi delle vecchie case, e racconto, nelle storie dell'emigrazione: 
"nel 1901 michele fede partì per gli stati uniti /con un abito impeccabile che lui stesso aveva cucito. /nel 1929 florindo fede partì per il brasile/ con un abito impeccabile che lui stesso aveva cucito./ nel 1947 agostino fede partì per la francia/ con un abito impeccabile che lui stesso aveva cucito./ nel 1960 salvatore fede partì per la svizzera/ con un abito impeccabile che lui stesso aveva cucito./ oggi al paese nessuno sa più cucire/ e l’emigrazione dei sarti è finita/. 

Dialoga con i presenti Arminio, e lo fa parlando di sè, dei poeti Sandro Penna e Pasolini, di Bisaccia e i suoi alberi, mettendo al centro di tutto la terra, l'amore, la morte, la voglia di osare, la rinascita. 
"Le persone si incontrano per rinascere, nascere non basta mai a nessuno". 



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