lunedì 10 aprile 2017

EVERY CHILD IS MY CHILD

Forse ci sono cose che non si possono dire a parole. E solo chi le prova sa cosa significano. 
Cerco di immaginare la primavera in Siria. Qui da noi si sentono gli uccellini cantare, il sole filtra tra le foglie degli alberi, il cielo è azzurro e i ragazzi girano a maniche corte per le strade.
In Siria non si sente il canto degli uccelli, gli alberi quasi non ci sono più, il cielo è grigio, le strade sono macerie, vuote.
L'attacco chimico a Idlib di qualche giorno fa, in cui sono morti 58 civili ed 11 bambini ha risvegliato una ferita mai chiusa, una realtá che è triste verità da ben sei lunghi anni, da quando Damasco e Aleppo sono scese in piazza e hanno detto no al regime di Assad.
Le immagini che abbiamo visto dai media portano feriti e morti, soprattutto bambini. 
Di fronte a quei corpicini senza vita stretti inermi con il loro peso di sogni e incanti spezzati, c'è chi ha parlato di "morte dell' intera umanità". 
Ma il dramma dei bambini di Aleppo è un dramma che si ripete da tempo, che si ripercorre un po' ovunque, che si legge da chi quelle lacrime se le porta dentro, e non le asciuga perchè non si cancellano. 
Tra i banchi di scuola si vedono tante realtá. Si leggono i libri, si percorrono epoche, si attraversano mondi. Ed è a scuola, in una classe come ce ne sono tante, che lo sguardo dei bambini di Idlib è apparso negli occhi tristi di un ragazzino di prima media, occhi che non dovrebbero mai sapere, che non dovrebbero mai piangere. 
Gli chiedo se sta bene, lui nato in Siria ed ora in Italia. Mi risponde di sí, ma poi si copre gli occhi e piange, perchè certe realtá non si cancellano con i chilometri di distanza, nè si possono comprendere, nelle immagini frettolose di un televisore.
Sembra strano poter pensare che la primavera sia arrivata anche in Siria, terra che vede morire o partire i suoi figli, terra dal cielo grigio, terra di macerie sporche di sangue.
Eppure il sorriso di un ragazzino che corre con i compagni all'uscita di scuola, che appena vede la Siria sulla carta geografica me la indica con un dito (lui che non sa niente di confini e diplomazie ed interessi politici), è il sorriso di chi quel sorriso l'ha perso, o non ha mai potuto provarlo.
I ragazzi a volte per divertirsi giocano alla guerra.
Ma la guerra non è gioco, o scherzo, o tantomeno fantasia.
La guerra è il dolore e pianto silenzioso di un ragazzo di prima media per le vittime di ieri, un ragazzo che disegna carri armati al cambio dell'ora, ma che corre felice, quando suona la campana.

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