martedì 14 novembre 2017

COSA SIGNIFICA UN MONDIALE

Era il 1990 quando Gianna Nannini cantava Notti magiche. Era l'Inno dei Mondiali Italia '90, ed io avevo appena quattro anni, mentre su un vecchio televisore analogico andavano le immagini di una squadra a colori bianco e azzurro, e le telecronache esclamavano i nomi di Schillaci, Baggio, Zenga. Qualche nome, per i ragazzi di Vicini, magari giá sentito perché allora andavano di moda gli album di calciatori e si scambiavano le figurine, ma a me non importava, erano i Mondiali, e l'omino stilizzato a tre colori con il pallone a far da testa era come un piccolo supereroe in un mondo di campi da calcio e folla urlante.
Per la veritá, sapevo che c'era stato un grande Mondiale: era l'82, Italia-Germania, l'Italia di Bearzot, l'Italia di Tardelli, delle immagini non più in bianco e nero ma finalmente a colori, l'Italia delle lacrime, di un gol che é stato come un unico grande grido, quello di un popolo unito dietro ad un unico grande sogno, che poi se si chiama "Campioni del mondo" é come la mitica epopea di tanti cuori ed un unico grande amore (e tricolore).
Io non sono molto esperta di calcio, lo seguo poco, meno che mai il campionato, e se dovessi vedere una partita oscillerei tra l'ansia dei tiri dell'avversario e il panico degli attacchi mancati (un disastro praticamente!) quando non subentra la noia o il sonno (eh già, io sono la paladina di tutte le donne in riferimento alla nota equazione uomo=film d'amore). Eppure la mancata qualificazione di ieri mi ha colpito molto e fatto riflettere.
Così al di là delle polemiche, delle teorie degli esperti, dei commenti al veleno degli arrabbiati, delle lacrime dei delusi, del pianto di Buffon che é come il simbolo di una fine ed un nuovo inizio (Scipione l'Emiliano piangeva sulle rovine di Cartagine e non conta nulla se questo indossasse una maglia del Parma, della Juve o della Nazionale), mi sono chiesta da profana (e donna) cosa significhi un Mondiale. E allora ho capito.
Un Mondiale sono innanzitutto ricordi. É uscire per strada e trovare il paese deserto, con le finestre aperte ed il caldo di giugno che ti racconta ovunque la stessa storia, la stessa partita. Sono le famiglie attaccate al televisore, gli amici, le magliette tutte azzurre, le vuvuzela e il tifo da stadio anche seduti in poltrona. Sono l'inno cantato e intonato a piena voce, l'enfasi nasale delle telecronache, e ancora fischi di inizio e corse da campioni dove l'emozione di uno é quella di tutti, dove non basta un nuovo gol per dimenticare il sapore del primo. E così penso alle luci dello stadio, al sudore tra i capelli, alle curve dove non sono mai stata ma credo si respiri fianco a fianco con l'altro, e penso pure agli sputi (ebbene sì) sul campo da gioco, che scandiscono un rito e scrivono un mondo, tra insegne, cartellini e bandiere. Penso a tutto questo, mentre ogni quattro anni diventiamo vecchi un po' di piú. Non lo sappiamo, o non ce ne accorgiamo, ma ogni volta è sempre diverso, ogni nuova formazione è un pezzetto di noi, della nostra storia che prende vita dai contorni di un campo per poi rimanere indelebile ricordo. Ed è questo che è triste. Che questa volta per noi non ci sarà nessun ricordo, almeno non come lo intendiamo noi, magari pensato con una persona speciale, o dietro le quinte delle proprie emozioni e fantasia. 

Ci hanno tolto un Mondiale, ma ci hanno lasciato il tempo dei sogni, per poter riprendere a sognare ancora.

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